IMPRINTING- una traccia nella memoria

UN LUOGO IMPRESSIONANTE, UNA TRACCIA IN ME.


Non è stato facile per me pensare ad un posto che sia effettivamente legato alla memoria.
Ho trascorso molto tempo cambiando case e rimanendo in uno stesso posto per poco tempo, come una specie di trottola impazzita. 
Mentre la mia vita scorreva e io mi muovevo con essa come un fiume in piena, c'era però un posto dove tornavo sempre, ogni anno, forse proprio in questo luogo c'è il mio imprinting.
In un certo modo questo posto per me è rimasto sempre un punto importante ma con il mio crescere ha modificato il suo valore.
Da bambina era il luogo delle vacanze estive dove trascorrevo del tempo con mia nonna quando i miei genitori erano ancora a Roma per lavoro, durante l'adolescenza è stato invece un posto un po di chiusura ed oppressione mentre ora rappresenta il simbolo della pace interiore.
Proverò a raccontare qualche ricordo pescato nella mia memoria di bambina.
Innanzitutto mi sembra giusto dare un'identità a questo luogo. Il paesino di cui sto parlando si chiama Capodarco, una piccola frazione del comune di Fermo, sui colli marchigiani.
Dalla casa vecchia appartenuta ai miei bisnonni si vede quasi l'infinito, uno strato di verde, una fascia di costruito e infine una parte blu che sfuma verso l'orizzonte. 
Provo a descriverlo partendo dalla linea dell'orizzonte che si distingue netta tra il blu del mare e l'azzurro del cielo.
Sovrasta questa fascia c'è l'edificato e sopra ancora una linea curva di movimento verde, le colline. L'andamento è armonico, ricorda un corpo disteso di fianco in cerca di carezze. 
Mi ricordo che era una serata calda, ma tirava una leggera brezza, avrò avuto sei anni. Intorno a me il paesaggio era del tutto incontaminato, bastava alzare gli occhi per poter giocare a trovare le costellazioni, ma non riuscivo mai a vedere Orione. 
Le luci non c'erano, ero su una stradina buia, sterrata con l'odore delle more e della lilla, a fare una passeggiata con mia nonna quando per la prima volta vidi le lucciole, animaletti così piccoli e così eleganti, ne rimasi affascinata. 
Qualche anno dopo erano sparite tra cemento e nuove costruzioni, ma mi è capitato di vederle a Roma ogni tanto e subito si è fatto vivo in me il ricordo di quella sera, nonostante per me sia difficile ricordare la mia infanzia.
Con il passare del tempo questo paesaggio cosi puro per me è divenuto quasi una costrizione, non riuscivo ad apprezzarne la bellezza, finché non provai a lasciarmi andare a lui. Avevo 17 anni e quel giorno mi sentivo triste, così mi misi sotto l'albero di fico davanti casa, piantato da mio nonno quando nacque mia madre. Ero sdraiata, con un libro di Neruda in mano e una sigaretta nell'altra, con il sottofondo del canto degli uccellini e il fruscio del vento. In quell'esatto momento capii che per me c'era davvero un legame con quella terra, un senso di nostalgia e di vuoto che mi sovrastava, ma stranamente un'emozione bella, di quelle che ti fanno sentire viva.
Tuto questo mi ha fatto riflettere sull'approccio che ho nel progettare, le forme e i materiali che utilizzo sono spesso freddi e razionali ma prendono vita con l'organizzazione degli spazi interni che scaldano. Probabilmente sono luoghi che hanno bisogno di tempo per essere capiti e vissuti davvero, come se dovessero essere scartati.


 ARMONICO E INTROVERSO. 


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